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Immagine del redattorePietro Scanziani

Perché le società di Private Equity investono nello sport e quali sono i possibili benefici?

Da sempre le aziende di private Equity – PE – hanno manifestato interesse verso il mondo dello sport e, in particolare, verso l’acquisizione di quote detenute da quelli che vengono definiti rights-holders, ossia federazioni, leghe, organizzazioni varie di gestione di campionati ed eventi sportivi.


Una delle prime collaborazioni e tra le più celebri, ha visto il mondo delle PE investire in maniera importante nella crescita della Formula 1. Così come nel MotoGP negli anni successivi. In molte di queste operazioni troviamo gli stessi nomi che oggi gravitano intorno al mondo del rugby oggi, come CVC, appunto. Negli USA la società di Private Equity, Providence, ha investito nelle Major League Soccer – MLS –, supportandone la crescita e, successivamente, i proprietari delle MLS hanno ricomprato le quote detenute dalla PE. Insomma, non si tratta, assolutamente, di qualcosa di nuovo, per il mondo dello sport.


Principalmente, parliamo dell’apice del mondo dello sport professionistico che, in un certo modo, appartiene ad un’industria diversa ossia quella dello sport-entertainment. Il tutto, ovviamente, nasce negli Stati Uniti d’America e, successivamente, raggiunge l’Europa e il resto del mondo come, con un esempio di oggi, la Nuova Zelanda e la New Zealand Rugby.



Evidentemente, le società di PE vedono nello sport un’opportunità di guadagno e i rights-holders un’opportunità di crescita, per cui sembra essere una “win-win situation” dove tutti ne beneficiano.


Ma in che modo e perché i rights-holders vedono delle opportunità nella cessione di quote di tutti o parte dei propri diritti commerciali, alle società di Private Equity?


La risposta è racchiusa in due importanti concetti: competenze e specializzazione.


Molti sport-makers o rights-holders nascono, in origine, con una funzione di promozione e gestione di uno sport e, successivamente, raggiungono un volume d’affari tale che sfocia, almeno nella porzione di vertice, nell’industria dell’intrattenimento.


A questo punto, diciamo di maturità del prodotto sportivo, possono nascere, dal punto di vista deli rights-holders, due necessità: la prima, di un elevato livello di competenze, che esula dalle potenzialità standard anche di un rights-holder evoluto e, come seconda necessità, quella di raccogliere un’importante liquidità per supportare la nuova fase di crescita. Questa nuova fase, ed è qui che risiede la “scommessa” delle PE, necessità di un livello di competenze e specializzazione che solo poche realtà strutturate, con importanti connessioni a livello internazionale, sono in grado di offrire.



Arriviamo, così, ad esempi di case-history di successo come l’investimento di società di PE nella National Football League - NFL - dove, grazie alla definizione di obiettivi strategici e all’investimento di capitali, è stato possibile accrescere, enormemente, le fonti di guadagno e il fatturato. Grazie a questa collaborazione le società di PE hanno, negli anni, aiutato l’NFL a ristrutturare alcune attività, di modo da riorganizzarle per essere più efficienti e offrire un servizio migliore sul mercato. Questo ha portato all’aumento del fatturato, di diversi milioni di dollari, di attività, per esempio, come la vendita di biglietti attraverso pacchetti hospitality, in un mercato definito, secondario.


Questo, come altri esempi, spiegano come queste sinergie tra un mercato dei capitali evoluto, con importanti capacità consulenziali e manageriali, insieme alle organizzazioni che detengono i diritti commerciali di importanti eventi sportivi, come, ad esempio, il Six Nations Rugby o la New Zealand Rugby, possono permettere un’efficace crescita del valore del prodotto sportivo e dei ricavi, insieme a una migliore struttura organizzativa, gestionale e commerciale.


Il capitale privato è in grado di portare una crescita, se unito ad un livello elevato di competenze. Servono la capacità di individuare le opportunità, definire delle strategie di sviluppo e coinvolgere un management specializzato per ogni settore. Se parliamo di diritti TV, occorre un management competente in questo settore, con una rete di contatti e la reale capacità di fare crescere il prodotto televisivo dal punto di vista della qualità e dell’offerta. Se parliamo di biglietteria e hospitality, occorre un management specializzato nel mondo del turismo, dell’accoglienza, dell’intrattenimento e del F&B.



Si tratta, indubbiamente, di una forma di collaborazione dove la società di PE deve avere anche delle capacità di sviluppo del business potenziale, che possano convincere il rights-holder della bontà dell’operazione che, altrimenti, sarebbe esclusivamente un’operazione di finanziamento e che dovrebbe seguire regole differenti. Nel caso dell’acquisto di quote dei diritti commerciali, per esempio, la società di PE si mette, letteralmente, in gioco nell’aumento di valore degli assets, materiali e immateriali, del rights-holder sportivo.


La “scommessa” da parte dei rights-holders risiede nella possibilità di cedere una quota nel breve periodo con la speranza di essersi affidato a un partner capace di creare valore e, dunque, garantire una sostanziale crescita nel medio e lungo periodo. Per questo motivo, questa tipologia di operazioni ha sempre una visione di lungo periodo, dalla quale si evince come sia fondamentale che, sia la società di PE che i rights-holders, siano consapevoli che dovranno affrontare un lungo percorso insieme, in totale armonia per il bene comune.


In questo caso il tempo viene calcolato in “media cycles” perché sono i diritti TV una delle principali variabili che esprimono la crescita del valore di un prodotto sportivo. Il lavoro fatto nel periodo di durata di un contratto esistente di media rights, viene capitalizzato quando si arriva alla nuova negoziazione dei diritti per il periodo successivo. Questo è il momento in cui la crescita, gestita in condivisione tra società di PE e rights-holders, deve raggiungere il proprio massimo, dal punto di vista di una moltitudine di indicatori oggettivi di crescita.


In questa tipologia di operazioni, si deve guardare ad un orizzonte non inferiore ai 10 anni e le strategie variano a seconda della tipologia di rights-holders. Le federazioni sembrano essere un investimento più sicuro per le società di Private Equity, perché la crescita, a fronte di un corretto lavoro, è più sicura e costante nel tempo, mentre, gli investimenti in singoli club sportivi sono molto più “volatili” e soggetti a scostamenti positivi e negativi di maggiore entità a fronte di una minore stabilità.



Il primo passo da parte delle società di PE, dopo la fase di analisi strategica, ovviamente, è quello di un consistente investimento nell’infrastruttura manageriale per creare un robusto gruppo di lavoro capace di iniziare, con successo, lo sviluppo di settori e opportunità, sino a quel momento, poco evolute o trascurate. Questo primo passo è fondamentale per la crescita sia a livello nazionale che internazionale. Il focus di questo gruppo di lavoro sarà quello di creare nuovi assets capaci di generare revenues, sino a quel momento non ancora sviluppate. Questo approccio permette di creare valore nel lungo termine, definendo e implementando nuovi assets strategici che perdureranno negli anni.


Il giusto mix per il successo di questo tipo di operazioni è un bilanciato equilibrio tra capitali, management, visione strategica e capacità di cooperazione tra la società di Private Equity e il rights-holder, nel corso degli anni di cammino comune.


Per ora il rugby italiano è partner di questa tipologia di operazioni, come socio del Six Nations Rugby, ci auguriamo che, in un futuro non lontano, potremo assistere ad un’evoluzione del sistema rugby italiano tale da attrarre l’interesse di società di Private Equity per lo sviluppo di una crescita di lungo periodo.

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